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76 x 64,5 cm
Olio su tela
1625 ca.


Scheda opera

Descrizione opera

Gesu' Bambino addormentato sulla Croce

Il giudizio critico


1) “Dolcezza, Grazie e Perfezione” di fronte a questo Bambino addormentato non trovo formula migliore di quella, semplice e umana che fu usata dal Sandrart per decifrare l’accesso di Guido alla bellezza, quasi fosse spontaneo o innato. E quale soggetto più di ogni altro incarna tale apparente naturalezza d’incanto se non il bambino, il putto, anzi il puttino tondeggiante: insomma ciò che Reni aveva appreso a raffigurare, stando al Malvasia, da Ludovico: ossia “il modo di fare i puttini in maniera che la soprabbondande grassezza delle carni ricoprisse ogni più risaltato muscolo”. Anche se altrove Reni riconduceva questa sua capacità all’esempio di Bagnacavallo: “ lodava il Bagnacavallo per i puttini e si pregiava d’aver da esso appreso il farli così butirrosi e zizotti”. E “butirroso” ci appare veramente questo Gesù Bambino che dorme poggiando delicatamente il capo sul braccio ripiegato; è disteso su di un panno rosato; i capelli biondo-rossicci sono come mossi da una leggera brezza che ci pare quasi di avvertire. Nulla può turbare la dolcezza di tale abbandono, neppure la croce su cui il bambino è adagiato, neppure la corona di spine o i chiodi sottili che appaiono in primo piano, a prefigurare una sofferenza e una passione estranee alla serenità metafisica eppure umanissima e affettuosa della scena. Alle spalle del bambino sale dolcemente la collina, immersa nell’ombra, mentre sulla destra si apre il paesaggio arioso di una pianura aperta dove in lontananza tremola una striscia baluginante di azzurro: un’idea accennata di marina su cui spiccano due velette – due tocchi appena di pennello col bianco e l’azzurro – quasi una firma, per Guido. Il cielo si compone di strati di colore quasi spatolato; finendo per congiungersi sulla sinistra con i toni bruni della collina ombrosa. Il soggetto del Gesù Bambino giacente o dormiente sulla croce, esplicita allusione all’amore divino e al sacrificio di Cristo, ispirato al Cantico de Cantici (V,2) ma assieme al modello classico dell’Eros dormiente, dovette rientrare piuttosto precocemente sulle corde del Reni: già agli inizi del secondo decennio del Seicento, lo stesso periodo a cui si devono i stessi piccoli deliziosi angeli bolognesi in Santa Maria dei Servi. Evoluzione trascendente e melanconica del motivo del Bambino Gesù coricato e per lo più addormentato che aveva occupato ripetutamente e frequentemente il pittore sin dall’inizio del secolo, sia come riferimento alla Vergine, sia come figura isolata. Questo dipinto – del quale numerosi ripensamenti documentano il carattere di opera prima – costituisce evidentemente il prototipo, ritenuto fino ad ora perduto di una serie cospicua di repliche e derivazioni, a cominciare anzitutto dalla tela di piccolo formato (30 x 23,75 cm) inserita tra le nuove attribuzioni (n. 17 del catalogo) nella monografia sul Reni di Stephen Pepper (edizione inglese del 1984, italiana del 1988) ora a Washington, Osuna Gallery, che Pepper colloca cronologicamente nella prima metà del 1614, vale a dire nello stesso periodo in cui risale l’affresco dell’Aurora sul soffitto del casino del cardinale Scipione Borghese a Roma, sulla base delle stringenti analogie stilistiche tra le due opere , nonostante l’immensa differenza di scala. Posta a confronto con questo dipinto la tela di Washington appare molto più contrastata, caratterizzata da una contrapposizione tonale lontana da questa straordinaria morbidezza armonica dei toni. Qui la luce isola ai nostri occhi il Bambino, ne accarezza le rotondità, ne evidenzia il rosa dell’incarnato, irrorandolo con i riflessi del panno su cui riposa, ne crea i volumi e le lievi zone d’ombra. Il cielo qui, accompagna nei toni lo sfondo: quasi cupo sulla sinistra, per aprirsi gradualmente alla luminosità dello squarcio paesaggistico a destra. Quanto basta a salutare la ricomparsa di un’opera ritenuta perduta, basilare per lo sviluppo e l’evoluzione di un soggetto fortunatissimo, nella carriera successiva del Reni – che ripeté spesso questo tema a partire dagli anni Venti del Seicento, creando anche una versione in cui la croce e il bambino sono posti in diagonale, ed un’altra in cui non compaiono i simboli della passione – e del suo entourage. Tra le derivazioni basti citare il dipinto conservato presso la Galleria Palatina di Firenze: una tavola di dimensioni 34 x 43 (inv. 1890 n. 1358) raffigurante Gesù Bambino addormentato sulla croce, databile all’incirca al 1620, un tempo attribuita al Barocci, poi ricondotta a Cristoforo Allori, mentre oggi appare piuttosto vicina al Bilivert. Tra le varianti, le fonti ci segnalano in particolare un Gesù Bambino dormiente su un teschio nella collezione dell’ultimo principe Barberini a Roma e un “Nostro Signor Bambino che dorme con teschio di morte. Corona di spine, di mano di Guido Reni, appartenuto al Duca di Parma”: si tratta del dipinto in collezione Farnese (oggi conservato al Museo di Nazionale di Capodimonte di Napoli) attribuito alla bottega del Reni (cm. 68 x 82) Il “Bambino che dorme con la morte e gli istrumenti della Passione” era esposto in Palazzo Ducale a Parma: Montesquieu, in visita alla collezione nel 1729 lo cita insieme ad altre poche opere che ritiene di eccellente qualità. Per tutto l’Ottocento l’opera venne ritenuta autografa. Il dipinto, sottoposto ora al restauro di Ottorino Nonfarmale si presenta in ottimo stato di conservazione. (13 marzo 2007 Andrea Emiliani)

 

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2) Reni, dopo un alunnato alle dipendenze del fiammingo Calvaert divenne seguace dei Carracci e una testimonianza notevole di questo suo primo momento è in questo dipinto datato da Andrea Emiliani intorno alla seconda metà del secondo decennio del Seicento, più o meno all’epoca in cui il Reni eseguiva il “Carro dell’Aurora” per il Cardinale Scipione Borghese, uno dei suoi massimi capolavori in assoluto. Il Gesù bambino addormentato è uno di quei temi che il Reni amò replicare proprio per la grande fortuna che tali soggetti ebbero nell’ambiente colto dei collezionisti tra Bologna e Roma. Reni aveva inventato un’idea nuova in campo pittorico, quella di unire nella stessa rappresentazione un argomento sacro e uno profano. Il Gesù bambino dormiente è simbolo della passione, dato che è disteso così come lo sarà poi sul sudario ed è nella posizione della meditazione con la mano premuta sulla guancia a testimoniare la profonda malinconia che grava sull’immagine. Ma nello stesso tempo la figura è immersa in un paesaggio di semplice e sublime bellezza come se si trattasse di un fanciullo che riposa sereno in un luogo incantevole senza altre implicazioni religiose. Reni raggiungeva così in un dipinto come questo, quella dimensione dell’equilibrio e della bellezza che resteranno sempre caratteristici della sua opera. Non c’è dubbio che tra le repliche conosciute di questo magnifico soggetto, quella della collezione sia la più alta qualitativamente e la più importante sotto il profilo storico artistico. (Claudio Strinati)