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Marmo pario a grana grossa

Alt. 46 cm; largh. 54 cm; prof. 25 cm

Prima metà II d.C.


Scheda opera

Frammento di statua femminile panneggiata

Il frammento di statua femminile presentava la spalla sinistra più alta della destra – l’integrazione è corretta in quanto guidata da un antico resto alla base del collo –, e il braccio destro pendeva lungo il ­fianco. La figura indossa un indumento leggero aderente al corpo, con maniche attaccate mediante bottoncini, che, scivolando, scopre la spalla destra, si arresta con l’orlo superiore sopra il seno e forma delle pieghe a V; al di sopra si stende un secondo abito – stavolta senza maniche –, tenuto da «bretelle» fissate a un elemento intermedio (in metallo?), ancora ben visibili sul braccio destro e in parte sul retro della spalla sinistra, in alto vicino al collo; questo cade lungo i fianchi e, al pari della prima veste, scivola dalla spalla destra disegnando con i due orli ben seguibili sul torso un grande motivo a V; anche sul dorso, per quanto scolpito in modo più sommario, il secondo vestito è riconoscibile grazie al maggior rilievo del suo orlo sinistro che con un percorso obliquo si raccorda in basso all’altro. La veste denudante la spalla senza svelare il seno risponde a un motivo iconografico diffuso nella statuaria sin dalla seconda metà del V secolo a.C. per Afrodite – ma non in modo esclusivo –, come riscontrabile su plurime opere greche, che, per lo più trasmesse da tipi con più repliche e sulle base di indizi più o meno forti attribuite a Fidia o ai suoi allievi, Agoracrito e Alcamene, raffigurano o paiono effigiare la dea (l’identità non sempre è accertabile). La fortuna del motivo del chitone scivolato perdura nel tempo e distingue molte altre immagini di Afrodite, come ad esempio quelle comprese in due gruppi ricondotti per il ritmo e per la costruzione del corpo ad «archetipi» di inizio (IV-III secolo a.C.) e fine dell’età ellenistica (I secolo a.C.). Il topos della spalla scoperta entra naturalmente anche nell’imagerie romana, come sulla statua di Venere nella cella del tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto; la spalla nuda accompagna poi anche altre figure – ad esempio, Igea, Muse, Horae, Tyche/Fortuna, Tellus, Vittoria – e più in generale incrementa il potere seduttivo femminile. La seconda veste che indossa pare essere una stola, l’abito distintivo delle matrone romane («matronas appellabant eas fere quibus stolas habendi ius erat»), riconoscibile dalle «bretelle» che la trattengono sulle spalle 11: equivalente della toga maschile, divenne il simbolo di virtù come castitas, pudor e verecundia delle donne sposate, tanto che sotto Tiberio fu persino prescritto di indossarla; sulle statue compare di solito sopra la tunica e assieme al mantello arrotolato in vita durante il I secolo d.C., con più frequenza in epoca giulio-claudia. Il frammento offre quindi una testimonianza rara di stola e veste sottostante (sorta di tunica manicata chiamata calasis 15) unite alla spalla scoperta una combinazione sinora nota nel repertorio della glittica. L’esempio più celebre è la rappresentazione di Livia seduta in trono con il busto del Divo Augusto nella mano destra su un cammeo del Kunsthistorisches Museum di Vienna, datata tra 14 e 29 d.C benché qui la stola, a differenza della tunica, non scivoli dalla spalla Livia, vestita del solo chitone e con il capo diademato e velato, presenta la spalla scoperta su un cammeo al Museum of Fine Arts di Boston, e un busto identificato con la sorella di Augusto, Ottavia Minore, nella Ny Carlsberg Glyptothek di Copenhagen indossa la stola con una tunica che sembra non coprire la spalla sinistra. In effetti, per quanto una spalla scoperta non basti a garantire l’assimilazione a Venere, la vicinanza alla dea è attestata per più principesse e imperatrici, principalmente della dinastia giulio-claudia in virtù della discendenza da Venere Genitrice, capostipite della gens Iulia, sia nel mondo delle immagini sia sul piano epigrafico sia per via letteraria. Per la datazione del frammento della Collezione Mainetti un primo aiuto deriva dall’impiego della stola, molto frequente nella prima metà del I secolo d.C.; parimenti, le caratteristiche del panneggio, di eccellente fattura e con le tracce del trapano corrente ben levigate per smorzarne l’effetto meccanico, paiono rimandare a un analogo orizzonte temporale, persino restringibile al secondo venticinquennio, almeno con gli strumenti per forza approssimativi della critica stilistica: per la consistenza delle pieghe e per il motivo incavato quasi a forma di triangolo tra i due seni si possono ad esempio chiamare a confronto la statua di Livia da Veleia datata tra 38 e 40 d.C. 22 o un togato da Cerveteri d’epoca claudia oppure ancora le figure di rilievi cosiddetti storici della stessa età. In breve, per le vesti e per la cronologia, il frammento della Collezione Mainetti, in origine alto più di 1.80 m, può costituire il resto prezioso di una raffigurazione di una Augusta esposta in una sede pubblica 25, con una peculiare sintesi di pudore (stola) e connotazione erotica (spalla scoperta). Per finire, la posa con spalle non allineate e un seno più alto, pur senza uno sbilanciamento eccessivo, a prima vista non fa escludere che la scultura, forse impostata sulla gamba destra cui risponde la spalla sinistra alzata, presentasse un pilastrino a sinistra, sulla falsariga della Afrodite nei Giardini o della Venere nel tempio di Marte Ultore; simile ricostruzione, oltre a esser abbastanza anomala per un eventuale adeguamento iconico, non è però cogente, giacché può esser stato il ritmo della figura, magari con una torsione accentuata del capo verso il lato della gamba libera, a imporre il sollevamento di una spalla; semmai, è plausibile che essa portasse anche una terza veste, un mantello (palla), o avvolto intorno alla vita a coprire le gambe e retto dall’avambraccio sinistro o, con minor verosimiglianza, tenuto con un lembo da una mano davanti al corpo.