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Marmo bianco

IV secolo d.C.


Scheda opera

Capitello ionico di colonna

Capitello ionico di colonna composto da una coppia di volute con spirale a nastro leggermente concavo, bordato da uno spesso tondino in rilievo e desinente in un occhio pieno; il canale delle volute è di altezza talmente ridotta da risultare pressoché inesistente e il suo margine superiore non prosegue al di sotto dell’abaco ma si interrompe bruscamente in corrispondenza dell’echino. Quest’ultimo, lavorato in discreto aggetto, è intagliato con tre grandi ovuli di forma appuntita, tronchi superiormente e contenuti in sgusci piatti poco distinti l’uno dall’altro; l’elemento intercalare è costituito da una larga lancetta di cui si intravede solo la punta. Mancano le semipalmette laterali, mentre il margine inferiore dell’echino è marcato da un astragalo intagliato con un motivo a corda ritorta e da un listello. Sui fianchi, le volute sono connesse da un pulvino cilindrico ornato da due corone sovrapposte di foglie d’acqua dalla forma appuntita che, nel caso della corona più esterna, sono connesse alla base per mezzo di un margine continuo sottolineato da uno spesso tondino e presentano la costolatura centrale segnata da una profonda incisione con biforcazione terminale. In corrispondenza del centro le due corone si uniscono alla base con una strozzatura nuovamente segnata da una profonda incisione, dando luogo al motivo del c.d. pseudobalteo. L’esemplare si contraddistingue per una lavorazione piuttosto sommaria, specialmente sulla fronte, affidata esclusivamente a strumenti da taglio senza l’aiuto del trapano, cosa che lo rende quasi del tutto privo di chiaroscuro. Il motivo dell’astragalo con corda ritorta, di ascendenza africana, compare sui manufatti prodotti a Roma a partire dalla fine del III secolo d.C., fra i quali gli esemplari più noti sono quelli a quattro facce messi in opera in occasione del restauro di IV secolo del Tempio di Saturno al Foro Romano; confronti si possono istituire anche con un capitello da Napoli, Collezione privata, datato al IV secolo e con la più tarda serie di capitelli nell’anello centrale di S. Stefano Rotondo. Insieme a un esemplare presso la chiesa di Santa Maria Antiqua, i capitelli citati offrono un parallelo anche per la conformazione delle foglie d’acqua sul pulvino che, come nel nostro esemplare, presentano il margine continuo sottolineato da un tondino. Tale trattamento, volto ad aumentare l’effetto decorativo a scapito dell’organicità, compare all’inizio del IV secolo e, in oriente, rimane in uso per tutta l’età tarda e bizantina. Diversamente, il motivo del c.d. pseudobalteo è piuttosto raro e lo si incontra su un esemplare sporadico di II secolo nell’Asklepeion di Afrodisia, su uno di Didima del III secolo e su un altro custodito al Museo di Side, datato fra la fine del III e l’inizio del IV secolo, che presenta anche il decoro con corda ritorta. Infine, il trattamento dell’echino con riduzione del numero di ovuli e l’assenza di semipalmette sono elementi caratteristici della produzione tarda, confrontabili con un vasto numero di manufatti. In base ai confronti citati e alle considerazioni stilistiche espresse l’esemplare è, quindi, databile al IV secolo d.C.