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Marmo lunense

Alt. cm 16,5; largh. cm 17; prof. cm 15

Seconda metà I secolo a.C.


Scheda opera

Testa di divinita' femminile

La testa, di formato pari al vero, raffigura una giovane donna calata in un’atmosfera di serena compostezza. Il volto, ancorché corrotto da importanti fratture, si connota per la notevole qualità formale e la pregevole valenza estetica, proprietà che nell’insieme rendono l’opera ampiamente godibile. Nel viso, dall’ovale oblungo e pieno, si spalancano grandi occhi tondi disposti su un asse appena inclinato verso l’esterno; su di essi l’arco orbitario non proietta ombre, come desumibile dalla porzione conservata. I globi sgranati e lisci sono delineati da bordini piatti. In corrispondenza dell’angolo esterno la palpebra superiore taglia l’inferiore e si salda all’arcata sopraccigliare tramite un lieve rigonfiamento; le caruncole lacrimali si allargano in vescichette “a goccia”. La sproporzione nelle dimensioni del collo, che è scolpito per una maggiore altezza sul lato destro, indizia una lieve rotazione a sinistra della testa, mentre la tenue asimmetria ravvisabile nella disposizione degli occhi, di cui il sinistro è appena più alto del destro, discende dalla naturale inclinazione a destra del capo. Nel volto tutti i tratti somatici sono pronunciati, per quanto fusi in maniera armonica: il dorso nasale regolare termina in un’ampia base dalle narici appena dilatate, che si innestano su un prolabio carnoso e mobile; la bocca serrata si sviluppa in larghezza con labbra voluttuose dai contorni sinuosi, i cui angoli sono bucati da fossette con estremità a “coda di rondine”. Zone d’ombra sottolineano queste depressioni, che sfumano in una graduale progressione di piani: così le vibrazioni elastiche avvertibili nelle piegature naso-labiali e nella bocca si dissolvono nell’epidermide asciutta e levigata delle gote. La vista di profilo della testa esalta la delicata carnosità del modellato, la cui tendenza ad annullare la struttura ossea sottostante è tangibile specialmente nella cedevole pinguedine del sottogola. La molle consistenza delle masse plastiche addolcisce l’espressione del volto, mitigando la sensazione di rigidità e freddezza trasmessa dalla fissità dello sguardo. La porzione di maggiore ampiezza della chioma è osservabile dal profilo destro; essa indica che la pettinatura è organizzata secondo due direttrici: sull’occipite i capelli si dispongono in balze ondulate, presumibilmente ai lati di una discriminatura centrale (non conservata), mentre sulle tempie sono accomodati in bande rigonfie, che coprono la punta dei padiglioni auricolari. I capelli proseguono poi sulla nuca – come visibile anche sul lato sinistro della testa – dove formano una grossa treccia o coda di cavallo, di cui è scolpita solo l’attaccatura. Il noto modello di acconciatura riprodotto è attestato a partire dalla tarda età classica in particolar modo sulle stele funerarie attiche e prevede una lunga treccia ricadente sulle spalle; esso è sempre associato a vergini o giovani donne. La chioma superstite, dalla sagoma instabile e fluida, è agitata in superficie da striature e composta da spesse ciocche ad S legate in un ammasso scarmigliato, che restituisce un effetto di immediatezza e spontaneità; i capelli si caratterizzano, inoltre, per il trattamento disinvolto e la superficie scabra e rugosa, che si oppone, con effetto di contrasto, alla levigatezza del volto accuratamente rifinito a raspa ed abrasivi. Il profilo inferiore della testa, nonostante nella porzione destra sia scheggiato in qualche punto, presenta un andamento troppo regolare per essere il frutto di una rottura casuale; esso va pertanto considerato come un taglio volontario, certamente antico. La testa era dunque lavorata a parte ed ancorata al collo tramite un perno, di cui resta l’originario incavo circolare per l’alloggiamento. L’appartenenza della testa ad una scultura “composita”, ovvero costituita dalla giustapposizione di elementi combacianti, è inoltre confermata dal sezionamento di traverso della calotta cranica, anch’esso antico. Questo complesso sistema serviva ad assicurare il montaggio di un inserto piuttosto voluminoso. Bisogna ipotizzare un completamento della testa con un unico inserto ad L comprensivo sia del collo, che della porzione residuale della calotta cranica con la chioma; la prosecuzione della treccia lungo la schiena era verosimilmente scolpita insieme col corpo. L’utilizzo di una tecnica analoga si riscontra nel bel ritratto delio inv. 6780 della fine del II secolo a.C. raffigurante un giovane uomo dalle fattezze volitive. Questo ritratto è ottenuto dalla giustapposizione di due blocchi in marmo pario: uno serviva per il viso, il secondo comprendeva, invece, la sommità dell’occipite, il collo e l’incasso destinato ad essere inserito nel corpo. Tra i capelli della testa, sul lato destro della testa, è appena distinguibile una sorta di fascia piatta, non rifinita e sottoscavata rispetto alle ciocche dei capelli antistanti, che ad una prima impressione potrebbe essere confusa con una benda o con un diadema. Si tratta di una guida per l’alloggiamento di un attributo; che potremmo immaginare anche in metallo, nonostante l’assenza di tracce di ossidazione; esso potrebbe essere un diadema, una corona o anche un basileion. La presenza di un profondo foro praticato sul retro del lobo destro può essere invece messa in relazione ad orecchini, malgrado l’insolita tipologia di aggancio, di solito gli orecchini sono ancorati a fori passanti. Il carente stato conservativo del monumento osta alla esatta comprensione della tecnica di realizzazione della scultura: in assenza di ulteriori elementi di giudizio non è, infatti, possibile stabilire se la statua sia stata realizzata secondo la tecnica pseudo-acrolitica, che comporta l’assemblaggio di marmi di tipi differenti, o del piecing, sostanzialmente analoga alla precedente con la variante dell’impiego di blocchi dello stesso tipo di marmo. Ad ogni modo entrambe le tecniche menzionate sono ampiamente attestate nella statuaria sia di età ellenistica, che di età imperiale romana. A giudicare dai limitati elementi iconografici a disposizione, la testa, completata con un attributo decorativo sul capo e dotata di una Zopffrisur, raffigurava verosimilmente una giovane dea, come ad esempio Artemide, rientrando dunque nel variegato panorama delle rappresentazioni iconiche di divinità dell’ultima età ellenistica a Roma. Dal punto di vista stilistico l’opera reca una marcata impronta classicistica – ravvisabile nella simmetrica disposizione dei tratti somatici, nell’elegante taglio arrotondato degli occhi, nelle labbra serrate e sembrerebbe, seppur in via preliminare, inquadrabile alla seconda metà del I secolo a.C.